Settimana scorsa ho raggiunto la città più vicina con l’intento di presentare il mio percorso di libroterapia umanistica, in una libreria che mi piaceva molto e che seguivo da tempo sui social.

Non avevo un appuntamento ma alla mia mail di presentazione avevo ricevuto una risposta incuriosita e ho pertanto deciso di andarci di persona. Alla guida della mia Panda sgangherata, con  la tosse a farmi compagnia, sono scesa dalla montagna diretta verso il lago, la cima innevata del Resegone sopra di me. Da un po’ di tempo a questa parte mi sono trovata a raccontare il mio lavoro a librai e a lettori curiosi; le prime volte ripassavo il mio discorso prima di un incontro ma poi mi sono resa sempre più conto di sapere tutto a memoria. D’altronde dovevo parlare di me, delle mie passioni, dei miei studi, della mia competenza. Ho sempre trovato persone aperte e disponibili, contente di conoscere qualcosa che prima non conoscevano e di fare due chiacchiere sui libri e la letteratura. Sempre, fino a quella mattina.

In città spirava un vento tenace, come spesso capita da quelle parti. Dopo aver orgogliosamente parcheggiato vicino al centro, ho subito infilato il mio berretto di lana. Mi sentivo tranquilla: tranquilla e felice, in una giornata di sole, con i raggi che luccicavano sull’acqua increspata. Fino a quando sono giunta in libreria. Con mia somma sorpresa ho trovato una persona che, prima, mi ha scambiato con un’altra, altra che evidentemente non le stava molto simpatica; poi, chiarito l’equivoco, mi ha guardata per tutto il tempo – breve – del nostro colloquio,  avvenuto in piedi e con la giacca a vento chiusa, fissandomi negli occhi con astio e con le braccia incrociate sul petto. Chiusura totale.  Mi sono trovata a dover rispondere a una serie di domande a raffica, senza che alcuna delle mie risposte destasse né interesse, né riflessione. Sembrava un colloquio di lavoro, di quelli in cui si presentano centinaia di candidati. Ma io ero sola e soprattutto non ero lì per farmi assumere da lei, ma per presentare un progetto che, secondo me, avrebbe potuto incontrare l’interesse di molti lettori, se fosse stato proposto. Ma al di là delle mie supposizioni – ci sta che non tutti i progetti siano per tutti i luoghi ( e anche i laghi, dato dove mi trovavo ), quello che mi ha davvero causato dispiacere è stata la totale incomprensione del mio lavoro ( e di quello di tutte le persone che come me si occupano di libroterapia umanistica). Mi sono detta che probabilmente è stata colpa mia. Non sono riuscita a raccontare bene quello che faccio e che stavo proponendo. Questo è probabilmente vero. Però, se  tornassi indietro, quello che farei non è cercare di spiegarmi meglio. Quello che farei ora sarebbe di sorridere, ringraziare e uscire dalla porta. Cosa che ho fatto ma – ahimè – troppo tardi.

La libroterapia umanistica è un meraviglioso strumento di crescita culturale e personale che utilizza i libri per riflettere sul proprio vissuto e sulle grandi domande filosofiche che da sempre interessano gli uomini. Attraverso la lettura delle storie, e la loro analisi, si promuove il benessere della persona facendole scoprire le risorse nascoste che ha dentro di sé, la si aiuta sviluppare l’empatia, la creatività e il problem solving. E no, non è  solo un book club.

Quali sono dunque le principali caratteristiche di un gruppo di lettura ( con le differenze che ci possono essere tra i vari gruppi in base all’età, alla preparazione culturale, al luogo in cui l’incontro è proposto, alla preparazione del conduttore)?

  • un book club, in genere, non ha un filo conduttore tra i libri proposti. Ad ogni incontro viene analizzato un libro diverso, a volte scelto dai lettori stessi, a volte spaziando tra romanzi, saggi e poesia. So anche di book club in cui ciascuno porta un libro diverso dello stesso autore e lo presenta agli altri partecipanti ( questo non è neanche un book club ma una chiacchierata  sui libri, che va benissimo, ma è un’altra cosa). E no,  “Letteratura Sudamericana” o “libri che parlano di barche” non sono fili conduttori, ma solo pretesti per raggruppare romanzi in realtà diversissimi tra loro;
  • un book club di solito fornisce subito l’elenco dei libri che andranno letti;
  • un book club non ha un obiettivo chiaro. Si parte dalla lettura del libro per arrivare chissà dove. In genere chi conduce il gruppo non lo sa;
  • un book club non è strutturato. Parla chi vuole e chi se la sente, intervenendo liberamente;
  • il focus di una discussione da book club è in genere sull’autore, su quello che voleva trasmetterci, sul suo background storico e letterario, sulla corrente letteraria, sui gusti personali dei lettori;
  •   un book club in genere è condotto da una persona non specializzata in facilitazione.

Un percorso di Libroterapia è molto diverso. Innanzitutto a monte c’è una scelta precisa dei libri proposti, scelti non in base al genere di appartenenza, neanche geografica, ma in base ai temi presenti all’interno della storia. Il facilitatore deciderà un obiettivo e, attraverso la scelta dei testi adatti, di solito in numero maggiore di quelli poi effettivamente proposti,  porterà la discussione su quello che gli interessa per raggiungere il suo obiettivo. Il prima della lettura verrà pertanto scelto dal facilitatore. Poi ci sarà il momento più importante, il durante, la lettura vera e propria, momento secondo me sacro, comunione intima tra il lettore e l’autore in cui nessuna presenza esterna dovrebbe mai entrare. Per questo motivo io propongo sempre la lettura integrale di un libro e mai singoli brani estrapolati dal contesto (nei percorsi di libroterapia; altra cosa sono i corsi di lettura critica o di scrittura, in quel caso i brani singoli aiutano a riflettere su una particolare tecnica narrativa).  E poi arriva il dopo, la discussione sul libro all’interno di un piccolo gruppo. Qui tutta la differenza del mondo la fa il facilitatore: la sua competenza, la sua preparazione, i suoi studi, tutti i libri letti, tutte le ore trascorse ogni giorno a leggere, a sottolineare, a prendere appunti. Non è semplice  da spiegare ma purtroppo a volte necessario: a mio parere in ogni ambito lavorativo ciascuno ha le sue competenze; pur amando le case e l’arredamento ( e avendo avuto una zia arredatrice bravissima ) non mi sognerei mai di propormi come tale, appropriandomi di una professionalità che non mi compete. Purtroppo in ambito culturale ci si trova spesso invece a che fare con persone non abbastanza preparate oppure che hanno studiato tutt’altro e,  pur essendo lettori “forti” non hanno le competenze necessarie. Ma torniamo al nostro percorso. Io non fornisco mai l’elenco completo dei testi proposti perché mi riservo di cambiare titoli in base al gruppo che ho di fronte e in base alle sue esigenze. La discussione post lettura è una discussione strutturata, in cui il facilitatore pone delle domande precise, appositamente studiate su quel particolare testo e in vista del raggiungimento di quel particolare obiettivo. Ciascun partecipante avrà la possibilità di intervenire, in rispetto dei suoi tempi e della sua personalità, aiutato e supportato in questo dal facilitatore.

Un’altra importante diversità con il book club è che in un laboratorio di libroterapia il focus sarà sui temi in primis e poi sul lettore, sulle sue emozioni e sensazioni, sui ricordi che la lettura ha suscitato, sui rimandi ad altre storie che lo hanno attraversato. “Un lettore quando legge legge se stesso” diceva Proust e noi non possiamo che dargli ragione, affermando anzi che in un gruppo di Libroterapia ” leggiamo insieme per imparare a leggerci dentro”. Si passa così dal romanzo a noi; dalle prime riflessioni sul libro passiamo, attraverso numerose domande “filosofiche”, a interrogarci su di noi, sulla nostra interiorità, mettendoci in discussione. La Libroterapia, come la Letteratura, non dà certezze. Ma aiuta a interrogarsi sempre, a mettersi nei panni degli altri, a considerare punti di vista diversi, a uscire dal  recinto sicuro per avventurarsi in terre lontane, mai esplorate prima. E’ un viaggio, un percorso del genere. Si sa da dove si parte e ci si lascia guidare verso l’ignoto, restando però all’interno della sicurezza che la lettura ci offre. Leggendo cioè posso viaggiare rimanendo a casa, posso vivere esperienze anche dure o dolorose  ma mediate, non dirette, altrettanto vere ( grazie ai nostri neuroni-specchio) ma meno forti.

Un percorso di Libroterapia umanistica non è per tutti. Bisogna aver voglia di mettersi in gioco, avere l’umiltà di ammettere che ci sono cose che non si sanno e si hanno voglia di conoscere. Bisogna porsi in ascolto, del facilitatore ma soprattutto dei propri compagni d’avventura. Bisogna essere aperti al nuovo, alla gentilezza, alla condivisione. E per questi motivi no, non lo proporrei più in un ambiente dove c’è chiusura, presunzione, arroganza. Dove senza neanche sapere di cosa si sta parlando – i nomi dei mei formatori non erano conosciuti, pur essendo persone notissime nell’ambiente – si ha il coraggio di dire: “faccio anch’io lo stesso”.

Questa esperienza mi ha insegnato a scegliere: i luoghi e le persone con cui lavorare. Perché no, non è un percorso per tutti. Ma solo per chi ha voglia di crescere e di appassionarsi alle storie. Perché dove c’è passione, e amore, non c’è posto per nient’altro.

Se desideri organizzare un laboratorio nella tua libreria, biblioteca, scuola, azienda o luogo d’incontro o ti interessa che venga a parlare di Letteratura, lettura o analisi critica di un testo, scrivimi. Decideremo insieme la soluzione migliore per te.